Quando si acquista un appartamento è sempre bene prestare attenzione allo stato di conservazione del condominio, verificare la regolarità degli impianti elettrici e idrici, controllare che l’immobile sia idoneo all’uso a cui è destinato. Tra le cose da verificare anche la servitù di passaggio, la servitù rubinetti di acqua e gas, vincoli delle belle arti…
Un nostro lettore Davide Calabria ci chiede: Ho acquistato un piccolo appartamento e solo successivamente ho scoperto che è parte di una divisione di un appartamento più grande. Le servitù – rubinetto dell’acqua e del gas – sono ubicate unicamente nell’altro appartamento. Entro quanto tempo dal rogito è possibile rivalersi su chi mi ha venduto l’appartamento? Se desidero portare nella mia proprietà i due rubinetti, chi paga i lavori? Sono a mio carico o sono da addebitare a chi mi ha venduto l’appartamento?
Servitù rubinetti: cosa dice il codice civile
In prima battuta la fattispecie in esame sembrerebbe riconducibile al concetto di servitù costituite per destinazione del padre di famiglia, disciplinata dall’art 1062 del c.c.: “La destinazione del padre di famiglia ha luogo quando consta, mediante qualunque genere di prova, che due fondi, attualmente divisi, sono stati posseduti dallo stesso proprietario, e che questi ha posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù. Se i due fondi cessarono di appartenere allo stesso proprietario senza alcuna disposizione relativa alla servitù, questa si intende stabilita attivamente e passivamente a favore e sopra ciascuno dei fondi separati”.
Tuttavia, poiché l’utilizzazione di acqua e gas da parte del sig. Calabria è subordinata al mantenimento di una situazione di fatto (mantenimento della derivazione e conservazione dell’utenza) rientrante nella esclusiva disponibilità del proprietario dell’appartamento in cui rimasti ubicati i rubinetti di acqua e gas, pare più corretto ritenere che si verta in materia di rapporti obbligatori, difettando il requisito oggettivo di una destinazione permanente, quale richiesto di regola dalla natura stessa della servitù.
In questo senso si veda la sentenza n. 5636/1987 della Corte di Cassazione (Sezione II Civile): “Non è configurabile una servitù prediale quando l’utilità a favore del fondo dominante, anche se fornita attraverso il fondo servente, sia legata ad un facere del proprietario di questo fondo, sicché manca il carattere dell’obiettività come connotato duraturo e permanente di soggezione di un fondo ad un altro; non può pertanto, ritenersi costituita per destinazione del padre di famiglia una servitù (di attingimento di acqua) a seguito della vendita di una porzione di appartamento nel quale l’acqua potabile defluisca attraverso l’impianto rimasto collegato al contatore posto nell’altra porzione dell’appartamento stesso, essendo l’utilità subordinata alla conservazione di uno stato di fatto dipendente soltanto dalla libera determinazione del proprietario dell’immobile nel quale è alloggiato il contatore, esclusivo titolare dell’utenza”.
Essendo, nel caso in esame, l’“utilitas” riferibile al fondo dominante (quello acquistato dal sig. Calabria) priva del carattere di obiettività come connotato duraturo e permanente di soggezione di un fondo all’altro, e dipendendo detta utilitas dalla volontà del proprietario dell’appartamento in cui ubicati i rubinetti, appare più corretto ricondurre la fattispecie ad un rapporto obbligatorio. Inquadramento giuridico che, tuttavia, finisce per essere ancor più svantaggioso per il sig. Calabria, il quale, così stando le cose, non potrebbe chiedere l’accertamento giudiziale di un diritto di servitù a favore dell’appartamento acquistato.
L’assenza di rubinetti deputati al servizio dell’appartamento compravenduto sembra quindi riconducibile all’ambito dei vizi della cosa venduta, la cui disciplina è contenuta nell’articolo 1490 c.c.: “Il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore. Il patto con cui si esclude o si limita la garanzia non ha effetto, se il venditore ha in mala fede taciuto al compratore i vizi della cosa”.
L’azione per far valere la garanzia per i vizi, che può essere diretta a richiedere la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo (fatto salvo in ogni caso il diritto del compratore al risarcimento del danno, ad esclusione dell’ipotesi in cui il venditore dia prova di aver ignorato senza colpa i vizi della cosa), è soggetta ad un termine di decadenza, per cui i vizi vanno denunciati entro otto giorni dalla scoperta (salvo il diverso termine stabilito dalle parti o dalla legge) oltreché ad un termine di prescrizione di un anno dalla consegna (cfr. art. 1495 c.c.)
La denuncia, soggetta al termine di decadenza di otto giorni, non è necessaria se il venditore ha riconosciuto l’esistenza del vizio o l’ha occultato (art. 1495 c.c. secondo comma).
Attenzione però perché l’art. 1491 c.c. prevede espressamente che non sia dovuta la garanzia per i vizi della cosa venduta “se al momento del contratto il compratore conosceva i vizi della cosa” o se “i vizi erano facilmente riconoscibili, salvo, in questo caso, che il venditore abbia dichiarato che la cosa era esente da vizi”.
Inoltre, si precisa che sono in ogni caso rilevanti eventuali previsioni specifiche sul punto contenute nel contratto di compravendita, sicché appare utile verificarne preliminarmente il relativo contenuto.